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Il carico allostatico

Lo studio degli eventi avversi e stressanti è da tempo un importante campo di ricerca; tanto che risulta ormai acclarato un loro impatto sulla salute fisica e psicologica. Se tradizionalmente è stato indagato il ruolo degli eventi stressanti più gravi e impattanti (come eventi traumatici), è ormai da tempo che viene riconosciuto il ruolo di eventi stressanti di minore intensità ma che possono presentarsi in modo continuativo o cronico.

La risposta allo stress da parte dell’organismo coinvolge numerosi sistemi corporei; dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, al sistema infiammatorio, dai neurotrasmettitori agli ormoni, reclutando così sia sistema nervoso centrale che periferico. Alla complessa mobilitazione fisiologica per far fronte allo stress è indubbiamente necessario aggiungere anche le caratteristiche psicologiche e le risorse ambientali disponibili di chi a quello stress fa fronte, oltre ai comportamenti non salutari che possono venire attuati di conseguenza (quali ad esempio ridotta attività fisica, consumo di alcol o ritiro sociale). Tutto ciò rende ragione della complessità del tema di ricerca e della difficoltà nel comprendere in modo chiaro e univoco le conseguenze di un certo stressor sulle condizioni di salute di uno specifico individuo. Proprio a questo proposito McEwen ha introdotto la centralità del costrutto di allostasi, definendolo come l’abilità dell’organismo di raggiungere la stabilità attraverso il cambiamento. Questa prospettiva riconosce come di fatto un funzionamento ottimale e salutare richieda costanti aggiustamenti e ricalibrazioni da parte dei processi fisiologici all’ambiente corporeo. Quando le sfide ambientali sono percepite come eccedenti le personali capacità di fronteggiamento e gestione, i sistemi di risposta allo stress sono ripetutamente attivati ed i sistemi protettivi risultano non adeguati. E’ quindi possibile parlare di sovraccarico allostatico se alla condizione di cui sopra sono associate compromissioni del sonno, umore basso, peggior funzionamento personale ed una sensazione di sopraffazione dalle richieste quotidiane. Gli studi confermano che un maggior carico allostatico sia associato a peggiori condizioni di salute. Proprio per questo la valutazione del carico allostatico risulta importante, ponendosi come fattore trasversale determinante in numerose condizioni mediche e psicologiche. Oltre che con i biomarcatori la presenza di carico allostatico viene valutata anche attraverso un modulo dell’intervista semistrutturata Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research-Revised. A seguito di una sua corretta identificazione, è quindi possibile intervenire sia attraverso la terapia cognitivo-comportamentale (per modificare il proprio stile di vita e sviluppare nuove modalità di fronteggiare lo stress) che attraverso la terapia del benessere (o well-being therapy).

Cosci F, Fava GA. The clinical inadequacy of the DSM-5 classification of somatic symptom and related disorders: an alternative trans-diagnostic model. CNS Spectr. 2016 Aug;21(4):310-7.

Fava GA, Cosci F, Sonino N. Current Psychosomatic Practice. Psychother Psychosom. 2017;86(1):13-30.

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Il ruolo della psicoterapia nella gestione dei sintomi di astinenza da psicofarmaci

L’inclusione di un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale nella gestione dei sintomi astinenziali è a volte vista con sorpresa o perplessità dal paziente. La credenza di fondo è che, essendo i sintomi astinenziali legati alla sospensione dello psicofarmaco, sia sufficiente una diversa gestione dello stesso per poter affrontare i sintomi sperimentati. A volte, la persona proviene già da precedenti percorsi psicoterapici e non è disposta ad intraprenderne di nuovi. Del resto, la convinzione che si tratti di un aspetto gestibile solo farmacologicamente è stata purtroppo rinforzata da quelle linee guida che nel tempo  hanno erroneamente proposto la sostituzione del farmaco o il ritorno al farmaco precedente come soluzione elettiva per la gestione dei sintomi astinenziali.

In realtà i sintomi astinenziali possono insorgere nonostante una riduzione graduale del farmaco e introdurre un nuovo/precedente farmaco può di fatto cronicizzare e aggravare gli stessi. E’ quindi necessario un approccio integrato e sequenziale. Oltre ad un’accurata gestione farmacologica, è possibile introdurre la terapia esplicativa, la psicoterapia cognitivo-comportamentale e la well-being therapy- sulla base delle necessità del singolo paziente.

La terapia esplicativa consente di lavorare su interpretazioni e significati dati ai sintomi da parte del paziente; una componente questa che può facilitare o ostacolare la riduzione del farmaco. Il terapeuta fornisce informazioni accurate sulla natura e causa dei sintomi di astinenza, incoraggiando la persona a monitorarli attraverso un apposito diario e a sviluppare spiegazioni personali accurate. Ciò può avere influenza sia sullo stato di attivazione fisiologica personale, sia sul disagio emotivo sperimentato. Dove utile, vengono forniti consigli sullo stile di vita da adottare durante il percorso.

La terapia cognitivo-comportamentale consente la gestione della riduzione della terapia farmacologica in quanto permette alla persona di sviluppare strategie alternative al farmaco per affrontare i sintomi emergenti. Si tratta di un approccio che coinvolge attivamente il soggetto, anche attraverso l’assegnazione di compiti a casa concordati tra terapeuta e paziente.

A volte può essere necessario potenziare il le risorse del paziente affinchè concepisca una propria vita senza il farmaco o con un farmaco in riduzione. In questi casi può essere utile la  well-being therapy.

In conclusione, per affrontare i sintomi di astinenza gli interventi psicoterapici sono molto importanti. Questi ultimi possono essere stabiliti sulla base delle necessità del singolo paziente.

Cosci F, Chouinard G. Acute and Persistent Withdrawal Syndromes Following Discontinuation of Psychotropic Medications. Psychother Psychosom. 2020;89(5):283-306. doi: 10.1159/000506868.

Cosci F, Chouinard VA, Chouinard G. Discontinuation of Antidepressant Medications: A Significant Healthcare Problem Insufficiently Addressed by the NICE Guidelines. Psychother Psychosom. 2023;92(3):148-151. doi: 10.1159/000530692.

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Di cosa parliamo quando parliamo di benessere

Il termine “benessere” è una parola entrata nell’uso corrente e impiegata in un’ampia varietà di contesti anche con accezioni diverse tra loro. Spesso, viene  usato come sinonimo di “felicità” o di “soddisfazione per la propria vita”, sebbene si tratti di un concetto piuttosto complesso che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha descritto come “uno stato positivo vissuto dagli individui e dalle società”.

L’interesse della ricerca scientifica su questo aspetto è relativamente recente. Ciò perché, al di là di singoli contributi e riflessioni da parte di alcuni autori, la ricerca psicologica si è volta fin dai suoi inizi ad indagare le cause della sofferenza e dell’infelicità umana piuttosto che il benessere.

Sono stati comunque  fondamentali per la conoscenza e la ricerca scientifica in ambito di benessere, autori quali Marie Jahoda, che ha operato già dalla fine degli anni ’50, ed anche Maslow, Rogers, Allport, Frankl e Erikson. Più recentemente, la sintesi della letteratura scientifica proposta da Jahoda è stata recuperata da una psicologa americana , Carol Ryff, che ha ripreso il quadro teorico precedentemente delineato ed ha provveduto a sottoporre a verifica empirica quanto proposto. Ryff, riprendendo Jahoda, ha proposto come elementi costitutivi alla base del benessere psicologico le seguenti sei dimensioni:

  1. Accettazione di sé: indica un’accettazione profonda di se stessi derivante dalla consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza che porta ad una visione complessiva positiva di sé.
  2. Presenza di buoni legami: indica l’esistenza di legami positivi, della capacità di costruire legami basati su fiducia, empatia e capacità di amare.
  3. Autonomia: fa riferimento ai costrutti di autodeterminazione, indipendenza, capacità di regolare il proprio comportamento dall’interno, fronteggiando quindi le pressioni sociali per potersi muovere sulla base delle convinzioni personali.
  4. Padronanza ambientale: sentirsi capace di padroneggiare e affrontare le difficoltà della vita in modo attivo. Comprende le abilità nel saper scegliere o costruire un ambiente adatto alle proprie caratteristiche personali, sapendo cogliere le opportunità che si presentano.
  5. Presenza di uno scopo di vita: indica la percezione di avere uno scopo e una direzione nella vita, da perseguire in modo attivo e intenzionale.
  6. Crescita personale: percezione di essere in continua evoluzione, all’interno di un percorso di crescita e miglioramento, in un’ottica di sviluppo e realizzazione personale.

Ryff ha quindi sviluppato la “Scala del benessere psicologico”, un test che è stato ampiamente utilizzato dalla ricerca psicologica per indagare il benessere e la sua rilevanza in un’ampia varietà di campi, compresi quelli relativi alla salute fisica e psicologica.

In anni più recenti, il concetto di benessere psicologico è stato ulteriormente raffinato, è stato infatti proposto anche un tipo di psicoterapia breve orientata al benessere. Tale terapia prende il nome di Well-Being Therapy ed ha la finalità di addestrare il paziente, o le persone, a utilizzare tecniche specifiche per produrre il proprio benessere o renderlo più solido. I professionisti del Centro di Scienze Psicologiche Alas hanno fatto un training specifico per poter utilizzare la Well-Being Therapy con i pazienti ed utilizzano quotidianamente questa tecnica, con ottimi risultati.

Fava, G. A. (1999). Well-being therapy: Conceptual and technical issues. Psychother Psychosom 68(4), 171-179

Fava, G.A., & Ruini, C. (2003). Development and characteristics of a well-being enhancing psychotherapeutic strategy: well-being therapy. J Behav Ther Exp Psychiatry, 34, 45-63

Ryff CD: Happiness is everything, or is it? Explorations on the meaning of psychological well-being. J Pers Soc Psychol 1989;57:1069– 1081.

Ryff CD. Psychological well-being revisited: advances in the science and practice of eudaimonia. Psychother Psychosom. 2014;83(1):10-28.

World Health Organization “Promoting well-being” consultato a: https://www.who.int/activities/promoting-well-being in data 04-10-2024

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Emicrania cronica e well-being therapy

L’emicrania è una condizione debilitante ampiamente diffusa nella popolazione generale. Da un punto di vista diagnostico, viene operata una distinzione tra emicrania episodica (con meno di 15 giorni con emicrania al mese) ed emicrania cronica (con 15 giorni o più di  emicrania al mese). Questa distinzione è rilevante poiché l’emicrania cronica è naturalmente la forma più debilitante ma anche quella più resistente alla terapia farmacologica  e quindi invalidante.

Per fronteggiare la condizione di emicranica cronica, viene spesso indicata la necessità di una combinazione di approccio farmacologico e psicologico. Un possibile approccio psicologico è rappresentato dalla  terapia breve del benessere (in inglese Well-Being therapy). La Well-Being Therapy si basa su un coinvolgimento attivo della persona, attraverso un approccio collaborativo tra paziente e terapeuta. Durante il percorso, la persona è incoraggiata a tenere un diario delle situazioni in cui sperimenta situazioni di benessere, per coglierne la  spontanea presenza durante la quotidianità. Questo approccio risulta particolarmente importante perché consente una scoperta guidata di ciò che il termine “benessere” significa nel concreto per ciascun paziente, nelle sue diverse e personali declinazioni. Parallelamente a ciò, la persona viene gradualmente istruita ad identificare pensieri e comportamenti che possono portare ad una prematura conclusione delle situazioni di benessere. Si tratta spesso di pensieri automatici (appena al di fuori della nostra consapevolezza) o di risposte comportamentali (spesso apprese nel tempo) che impediscono il pieno godimento della situazione di benessere. L’approccio fin qui delineato viene poi applicato alle varie dimensioni costitutive del benessere, per favorirne uno sviluppo armonico ed equilibrato.

I primi studi che hanno indagato l’efficacia della WBT per le persone con emicrania cronica, hanno dato risultati incoraggianti. I risultati preliminari hanno infatti rilevato una tendenziale diminuzione della frequenza di episodi di emicrania e un miglioramento dei sintomi depressivi così come del benessere personale. Uno dei possibili meccanismi di cambiamento implicati è lo spostamento di focus da parte del paziente. Le persone che hanno intrapreso un percorso di WBT riferiscono un cambiamento: dal tentativo di ridurre o eliminare il negativo (ad es. il numero di attacchi di emicrania) alla partecipazione ed impegno nel costruire il positivo, occasioni di benessere per vivere una vita allineata con i propri valori personali- al di là del dolore.

Mansueto, G., & Cosci, F. (2021). Well-Being Therapy for Depressive Symptoms in Chronic Migraine: A Case Report. Clinical Case Studies, 20(4), 296-309.

Mansueto, G., De Cesaris, F., Geppetti, P., & Cosci, F. (2018). Protocol and methods for testing the efficacy of well-being therapy in chronic migraine patients: A randomized controlled trial. Trials, 19(1), 561.